Presentazione

Fausto Di Biase

28 febbraio 2007


Alla cara ombra di mio padre.



Goriano Sicoli
M.C. Escher's "Veduta di Goriano Sicoli" (c) 2007 The M.C. Escher Company - the Netherlands.
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Goriano Sicoli è uno dei numerosi paesi dell'Abruzzo montano che sono stati esplorati e rappresentati da M. C. Escher nelle sue opere grafiche.

Secondo una antica suggestione di G. Pontano, il toponimo è uno dei non pochi, nella regione, che conservano traccia di quelli che in latino venivano chiamati "Siculis", i quali, come Plinio ci racconta nella sua enciclopedica Naturalis historia (3,110), si erano spinti fino a Numana (e, di fatto, oltre). Secondo altre ipotesi, all'origine del nome ci sarebbe  la parola latina "Siccus". Gli studi più recenti e autorevoli hanno infine riconosciuto in "Sicoli" un antroponimo di origine longobarda.

Così Plinio inizia a descrivere la regione (Nat. hist. 3,106):
Sequitur regio quarta gentium vel fortissimarum Italiae.

L'ammirazione di Plinio per le virtù belliche delle genti che popolavano l'odierno Abruzzo rientra nel sistema di valori della società del suo tempo, che si distingueva per la tecnica militare e l'estremo pragmatismo che avevano reso possibile la sua vertiginosa espansione.

Questa bella immagine di M.C.Escher richiama le idee di unità, di armonia, di civile convivenza, e allude al nostro rapporto con il mondo naturale e a quella sapienza operativa, a quel concreto saper fare, noto con il nome onnicomprensivo di Tecnica, che ci consente di sopravvivere e di vivere meglio.

L'analisi armonica è un settore della Matematica.

È difficile pensare a una attività dell'umano ingegno che sia universalmente più utile alla Tecnica di quanto non lo sia la Matematica.

Alla pastorizia è utile il concetto di numero intero, come alla agrimensura è indispensabile il concetto di numero razionale.

Questi semplicissimi esempi già indicano che un armonioso progresso sociale, che si appoggi sul progresso tecnologico, si realizza di pari passo con il progresso nelle scienze matematiche.

Tuttavia, non sempre i concetti matematici indispensabili alla Tecnica sono scoperti in risposta immediata a una determinata esigenza applicativa.

Ad esempio, la tecnica che produce gli elettrodomestici, che ha origini negli studi sull'elettromagnetismo del XIX secolo, non esisterebbe se gli algebristi italiani del cinquecento, impegnati nel calcolo del tasso interno di rendimento di certe operazioni finanziarie, non avessero scoperto il curioso concetto di radice quadrata di -1, dando così vita al calcolo dei numeri complessi che, dopo tre secoli, ha formato il linguaggio indispensabile alla formulazione delle leggi che vengono usate per controllare, costruire e descrivere queste moderne macchine.

E le tecniche di visualizzazione diagnostica usate nella medicina moderna non esisterebbero se il matematico Johann Radon non avesso studiato certi problemi di " ricostruzione funzionale" nei suoi lavori dei primi decenni del XX secolo, quando nessuno era in grado di applicare direttamente quelle idee.

E la crittografia moderna non esisterebbe senza gli studi di teoria dei numeri, che i matematici hanno intrapreso per puro piacere, senza pensare ad alcuna particolare applicazione pratica, ma anzi richiamandosi con orgoglio all'onore dello spirito umano, come si espresse Jacobi, riprendendo le idee di Abel, nella sua polemica con Fourier, nei primi decenni del diciannovesimo secolo.

Fourier è stato uno dei creatori dell'analisi armonica, e pensava che la Matematica dovesse occuparsi soltanto di questioni direttamente sollevate dai bisogni della Tecnica. Gli esempi già fatti, e mille altri che si possono fare, mostrano che, in questa polemica, aveva ragione Jacobi, anche ammettendo il punto di vista puramente utilitaristico di Fourier.

Ad esempio, è difficile credere che Albert Einstein avrebbe potuto inventare ad hoc tutto l'armamentario teorico necessario alla formulazione delle sue teorie del mondo fisico, se qualche decennio prima, Riemann, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, non avesse introdotto nuove teorie geometriche che si rivelarono adattissime allo scopo. Bisogna anche dire che gli interessi di Riemann per il mondo fisico (inclusa la fisiologia e la psicologia) erano pari a quelli che aveva per il mondo dei concetti matematici, e che la sua nuova geometria era anche nata dietro la spinta di quella che era una delle sue preoccupazioni: quella di superare i limiti del linguaggio matematico del suo tempo, ai fini della formulazione di appropriate teorie del mondo fisico.

In somma: l'esperienza storica indica che soltanto se i matematici si occupano anche dei problemi che sono suggeriti dalla materia stessa delle loro riflessioni è possibile che si raggiunga un progresso sufficiente alle applicazioni alla Tecnica.

La civiltà romana antica, contenta dell'energia umana fornita dagli schiavi, e adagiata su un patrimonio tecnologico privo di un adeguato sostrato di cultura matematica e filosofica, rappresenta un esempio, in negativo, di questo fatto.

Alcuni hanno espresso l'opinione che la civiltà islamica, nel suo periodo di massimo splendore, iniziato intorno al IX secolo, sia un esempio di segno opposto, di una struttura sociale dove una elite di intellettuali si impegna nello studio della Matematica senza un armonioso raccordo con la Tecnica, e che proprio per questo motivo non abbia potuto trarne adeguato vantaggio. Un più attento esame delle fonti storiografiche disponibili indica che però questa opinione è affrettata, se non faziosa.

Da un lato infatti le fonti indicano che anche le loro indagini matematiche erano ispirate dall'impegno pratico, che li portò a realizzare notevoli progressi in ogni campo della Tecnica.

Dall'altro lato è ben noto che i tesori culturali della civiltà greca antica ci sono pervenuti proprio grazie alla fervida operosità degli studiosi arabi, che hanno reso nuovamente fertile l'antico terreno della cultura greca, e quindi reso possibile la rivoluzione scientifica del Seicento. Essi salvarono dall'oblio quei capolavori e arricchirono l'antico patrimonio scientifico di contributi originali, proprio in un momento in cui il continente europeo attraversava un periodo di totale decadenza, da cui iniziò a risollevarsi soltanto nel XII secolo, in buona parte per merito della traduzione di quei capolavori dall'arabo.

Ricordiamo che le due pietre miliari di quella rinascita sono state la prima traduzione di Euclide dall'arabo, avvenuta verso il 1120-30, e l'opera di Leonardo Fibonacci, nato nel 1170 circa, che importò (ai fini della tenuta dei bilanci e registri commerciali) l'aritmetica araba, ovvero la numerazione posizionale, che fornì la base alla scuola degli algebristi italiani del XVI secolo. Prima di allora, gli studiosi nel continente europeo avevano a disposizione soltanto il De istitutione arithmetica di Boezio, che conteneva tracce del neopitagorismo misticheggiante del II secolo d.C. ma nulla della splendida Matematica ellenistica. L'influenza degli arabi sulla rinascita culturale del continente europeo non si limitò alla Scienza: secondo alcuni studi, la poesia provenzale subì l'influenza della poesia arabo-andalusa.

Per quanto riguarda l'analisi armonica, che è il tema di questo convegno, osserviamo che i problemi della conduzione del calore e della propagazione delle onde sonore, il calcolo delle probabilità e le sue applicazioni alla statistica, lo studio delle proprietà microscopiche della materia, le tecniche di visualizzazione delle parti interne del corpo umano, impiegate nella medicina moderna, la tecnica dei forni a microonde, sono tutti esempi di applicazioni dell'analisi armonica alla Tecnica. E questo non è che un elenco parziale.

L'elenco delle applicazioni infatti continua a lungo e risulta senz'altro sorprendente per coloro che credono che la Matematica sia soltanto un puro gioco formale, un complesso sistema di segni sulla carta, un territorio intangibile immaginato da menti lontane dalla realtà di tutti i giorni.

Da un certo punto di vista, l'attività dei matematici non è dissimile da quella di un artista che esplora, non senza difficoltà, un territorio, scoprendone via via i paesi, gli abitanti, le montagne, che poi rappresenta graficamente. Il linguaggio matematico allude a un contenuto mentale che viene condiviso e trasmesso da un matematico all'altro, così come il linguaggio comune trasmette i nostri pensieri e ci consente di comunicarne i contenuti.

I successi indiscutibili della Matematica nelle sue applicazioni alla Tecnica ci portano inevitabilmente a chiederci quali ne siano le ragioni.

A questo punto il discorso si porta inevitabilemente su un piano di riflessione filosofica, che ci arricchisce di alcuni insegnamenti utilissimi, contrariamente alla popolare immagine di quel filosofo tanto distratto dalle cose celesti da cadere nel pozzo.

In effetti, i legami dell'analisi armonica con gli altri settori della Scienza, e le sue applicazioni alla Tecnica, sono tanto numerosi e profondi che illustrano, meglio di ogni altro fatto, alcune idee filosofiche introdotte dalla scuola pitagorica, fiorita nella seconda metà del VI secolo a.C. a Crotone in Calabria, proprio dove fioriva una importante scuola di Medicina. In primo luogo, l'idea di unità della Scienza.

Alla scuola pitagorica si devono altre due idee, strettamente legate alla prima: quella che il mondo sia razionale e che la sua struttura sia scritta in linguaggio matematico.

Una conseguenza di questi assunti è che la Tecnica non sia e non possa essere altro se non una applicazione della Scienza.

L'idea che la struttura più intima del mondo sia scritta in un linguaggio razionale è riapparsa in varia forma nel corso dei secoli. Essa si trova nei contributi di Archimede e nel manifesto della rivoluzione scientifica del Seicento, scritto dal nostro Galilei. Essa forma implicitamente il credo filosofico di qualsiasi scienziato moderno. Questa idea è avvalorata assai bene dai successi dell'analisi armonica nelle applicazioni pratiche della Matematica, e dai legami che essa ha con gli altri settori della Scienza.

Osserviamo per inciso che tuttavia l'unità della Scienza rappresenta più una direzione ideale che non una realtà finalmente compiuta, ed è anzi stata messa in discussione, anche come base epistemologica, da Feyerabend, un filosofo della Scienza estremamente importante (a differenza, devo dire, dei suoi epigoni).

In effetti, la riflessione filosofica ci permette di evitare alcuni errori comuni, il primo dei quali commesso proprio dalla scuola pitagorica.

La tradizione attribuisce ai matematici della scuola pitagorica una scoperta che metteva in crisi lo stesso modello matematico che il loro maestro aveva creato del mondo esterno. La visione scientifica di quella scuola voleva che:

"Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza di questo nulla sarebbe possibile pensare, né conoscere."

Per quei pensatori, i numeri erano quelli che noi oggi chiamiamo numeri interi. Inoltre, quei pensatori avevano imparato a riconoscere un dato significativo in quello che oggi noi chiamiamo il rapporto tra i numeri interi. Dunque, in un certo senso, i matematici della scuola pitagorica vedevano nella realtà del mondo fisico un sostrato discontinuo.

Conviene spendere qualche parola per spiegare l'origine e il senso della visione filosofica e scientifica della scuola pitagorica.

I pitagorici avevano scoperto che le consonanze musicali dipendono non tanto dalla coppia di numeri interi che esprimono le dimensioni lineari dello strumento, ma da quello che con linguaggio moderno chiamiamo il loro rapporto.

La tradizione attribuisce ad Ippaso di Metaponto, un matematico della scuola di Pitagora, un esperimento in cui mostra che gli stessi accordi venivano prodotti da diverse coppie di strumenti, a condizione che le coppie di numeri interi, che esprivano le loro grandezze, esprimessero lo stesso rapporto.
Ad esempio, le coppie di numeri interi (16,20) e (20,25) esprimono lo stesso rapporto (il rapporto di 4 a 5), e due coppie di dischi metallici dello stesso diametro, in cui gli spessori siano espressi da queste coppie di numeri interi, produrranno lo stesso accordo musicale; lo stesso risultato si ottiene con due coppie di strumenti a corda in cui le lunghezze sono espresse da queste due coppie di interi.

Dunque, i pitagorici scoprirono che la chiave nascosta degli accordi era nei numeri e nei loro rapporti, indipendentemente dallo strumento musicale e dal materiale scelto.

Kurt von Fritz ha osservato che i pitagorici usavano due termini per indicare il concetto di rapporto.
La prima era diastema, che significa intervallo, e mostra che le loro prime riflessioni avevano avuto origine nella teoria musicale.
La seconda era logos.
I Greci avevano due termini per indicare il concetto di parola. Il primo era epos, che indicava la parola in quanto evocatrice di una immagine. La seconda era proprio logos, che indicava la parola in quanto evocatrice di un significato, di un concetto, di una essenza. Non a caso Erodoto chiama logoi quelle storie che hanno un significato morale. Grazie a questo uso pitagorico-matematico del termine esso ha poi assunto il significato di legge (che descrive il mondo).

Quindi, il logos della coppia (16,20) è il significato, l'essenza, o la natura intrinseca di quella coppia di interi, comune anche alla coppia (20,25) e alla coppia (4,5), ecc.

Nel caso della teoria musicale, l'accordo viene percepito dall'orecchio, ma è il logos tra le dimensioni lineari dei due strumenti che, secondo i pitagorici, rivela e contiene la natura vera di quell'accordo, in quanto attraverso di esso l'accordo può essere definito e riprodotto da strumenti differenti per materiale e dimensione.

I pitagorici hanno naturalmente cercato di estendere e applicare questo stesso principio unificatore allo studio dell'astronomia, alla geometria e all'aritmetica.

In geometria era naturale, a partire da queste premesse, che questi matematici volessero cercare il logos proprio delle figure geometriche.

I pitagorici avevano dimestichezza con i cristalli di pirite, che assumono in genere la forma di un poliedro di 12 facce pentagonali e quindi, idealmente, quella di un dodecaedro, formato appunto da 12 pentagoni regolari. A quanto pare Ippaso di Metaponto fu il primo a chiedersi quale fosse il logos della coppia formata dal lato e dalla diagonale di un pentagono regolare.

Individuare il logos che è proprio della coppia formata dal lato e dalla diagonale di un pentagono regolare significa determinare un sottomultiplo comune alle due lunghezze, ossia individuare una lunghezza che sia contenuta esattamente, diciamo, h volte nel lato ed esattamente k volte nella diagonale del pentagono, dove h e k sono due interi che devono essere identificati.

Una volta che gli interi h e k sono stati identificati, il logos che è proprio del lato e della diagonale del pentagono è quello che è proprio della coppia di interi (h,k).

La maniera più semplice per individuare un sottomultiplo comune tra due lunghezze, e quindi il loro logos (vale a dire il rapporto), è di procedere per differenze successive.

Ad esempio, dati due segmenti di lunghezza diversa, se la differenza è contenuta esattamente quattro volte nel segmento di lunghezza minore, allora il loro rapporto è di 4 a 5.

Ippaso di Metaponto scoprì che un sottomultiplo comune al lato e alla diagonale di un pentagono regolare non esiste.

Per capirlo, basta osservare, in primo luogo, che le cinque diagonali di un pentagono regolare (ottenute unendo i vertici due a due internamente al pentagono) formano un nuovo pentagono regolare al suo interno, che, allo stesso modo, a sua volta ne forma un altro al proprio interno, e così via, indefinitamente.

Dentro il primo pentagono ne avremo quindi un secondo, formato dalle diagonali del primo, e dentro il secondo pentagono un terzo, formato dalle diagonali del secondo, e così via, indefinitamente.

L'avverbio indefinitamente significa che la costruzione procede idealmente senza mai fermarsi, anche se, naturalmente, a un certo punto dobbiamo materialmente fermarci per ragioni pratiche: ma da un punto di vista concettuale, la costruzione non incontra mai un ostacolo intrinsecamente geometrico.

In secondo luogo, non è difficile osservare, sulla base di alcune semplici proprietà dei triangoli isosceli, ovvero le simmetrie della figura, che la differenza tra la diagonale e il lato del primo pentagono è uguale alla diagonale del secondo pentagono, e che la differenza tra la diagonale del secondo pentagono e il lato del primo è uguale al lato del secondo pentagono, e così via indefinitamente. Il metodo delle differenze successive non termina mai, anzi ripropone ad ogni passo la risposta che aveva dato al passo precedente, ad una scala più piccola, producendo una vertiginosa spirale senza fine. Quindi, un sottomultiplo comune alla diagonale e al lato del primo pentagono non esiste.

Due grandezze che non hanno un sottomultiplo comune si dicono incommensurabili.

La scoperta metteva in crisi il pensiero del maestro, tanto che ne venne proibita la diffusione.

In breve, l'errore filosofico commesso dalla scuola pitagorica fu quello di confondere la realtà con i modelli matematici che di questa sappiamo costruirci. Nello specifico, alla base dell'errore vi era la convinzione che qualsiasi coppia di grandezze fosse commensurabile, ovvero possedesse un sottomultiplo comune.

In seguito alla crisi della scuola pitagorica, la scienza del continuo, che a quel tempo era la geometria, venne tenuta rigorosamente distinta dalla scienza del discontinuo, che a quel tempo era l'aritmetica.

Quella divisione è stata rafforzata da alcune argomentazioni e ragionamenti, scoperti da altri pensatori della Magna Grecia, in particolare da quei nodi gordiani che furono per lo spirito greco le famosissime aporie di Zenone di Elea, dove guarda caso si riproponeva il vertiginoso vortice del regresso ad infinitum.

Conviene riprendere il filo del discorso, interrotto dalla scoperta che non tutte le coppie di grandezze hanno un logos. Ci sono anche coppie di grandezze che sono alogoi, cioè senza logos, .

Lo spirito dei matematici greci non si arrese a quella scoperta.

Dunque, a un certo punto, essi cercarono modi per identificare ed esprimere il fatto che due coppie di quantità incommensurabili (che non hanno logos propriamente detto) possono avere lo stesso logos. Ma come definire e identificare il logos di due alogoi ?

Si poneva una doppia difficoltà, terminologica e concettuale.

La difficoltà terminologica era una spia linguistica della difficoltà concettuale. I greci sapevano che chi non sa dire quello che pensa deve pensare quello che sa dire, e si misero al lavoro su entrambi i fronti.

Kurt von Fritz ha osservato che per qualche tempo la difficoltà terminologica venne risolta usando l'espressione arrethos, che significa inesprimibile, per indicare quelle coppie di grandezze che non hanno un logos propriamente detto: sono come abbiamo detto le lunghezze incommensurabili, ossia prive di un sottomultiplo comune.

Successivamente essi crearono il termine rhetos (razionale) in contrasto con arrhetos.

Sul piano concettuale, il problema che si poneva allo spirito di quei matematici era quello di dare una precisa definizione di logos di una coppia di lunghezze, che sia ugualmente applicabile quando le due lunghezze sono incommensurabili (e quindi, lo ricordiamo, non hanno un logos secondo la definizione originale della scuola pitagorica).

Ad esempio, i matematici greci scoprirono, successivamente alle prime osservazioni di Ippaso di Metaponto, che la diagonale e il lato di un qualsiasi quadrato non hanno un sottomultiplo comune, sono cioè incommensurabili, alogoi, senza logos.

Originalmente, il logos di una coppia di grandezze commensurabili, ossia dotate di un sottomultiplo comune, era codificato in una coppia di numeri interi: ma se le grandezze non sono commensurabili, come esprimerne il logos? Eppure, era ben chiaro a quei geometri che in tutti i quadrati, lato e diagonale dovevano avere lo stesso logos, anche se essi sono alogoi.

Per risolvere il busillis quei matematici dovettero prima di tutto capire che non era importante dire che cosa sia il logos della coppia formata dalla diagonale e dal lato del quadrato, ma piuttosto saper definire con precisione, che cosa si intende quando si dice che il logos della coppia (A,B) di grandezze è uguale al logos della coppia (R,S) di grandezze. La definizione si deve poter applicare tanto alle coppie di grandezze commensurabili che a quelle incommensurabili, e deve ricatturare il primitivo concetto di logos quando le grandezze sono commensurabili, e deve naturalmente dire che il logos della diagonale e del lato di un dato quadrato è uguale a quello formato dalla diagonale e dal lato di un altro quadrato qualsiasi.

Inizialmente i matematici greci diedero una risposta che per noi, che giudichiamo con il senno di poi, è estremamente interessante, ma che a quel tempo fu vista con sospetto, in quanto rimandava a una successione infinita di passi. Oskar Becker ha rintracciato questo primo tentativo di definire il logos di due quantità nei Topica di Aristotele.

Un'altra soluzione fu ottenuta da Eudosso, nato nel 400 a.C. a Cnido, origine di una importante scuola di Medicina. Egli definì appunto che cosa si deve intendere quando si dice che due coppie di grandezze hanno lo stesso logos. La sua definizione è dotata delle proprietà sopra descritte, in cui ovviamente la parola logos aveva un significato nuovo rispetto a quello che aveva per i pitagorici. Finalmente, fu di nuovo possibile dire che due coppie di alogoi hanno lo stesso logos, senza cadere in una contraddizione logica.

La definizione di Eudosso di Cnido fu estremamente feconda, specie nella mani di Archimede, e restava nel solco di quella divisione rigida tra geometria e aritmetica, che era stata rafforzata, se non creata, dalla prima crisi del pensiero pitagorico, e successivamente dalle aporie di Zenone di Elea. In effetti, la definizione di Eudosso di Cnido era situata interamente nell'ambito della geometria.

Quella divisione è stata parzialmente risolta nel XIX secolo, ancora per l'impulso dato dall'antica idea dell'unità della Scienza. Più precisamente, nella seconda metà di quel secolo, Dedekind operò una riduzione della geometria all'aritmetica, vale a dire: una operazione per cui uno schema concettuale viene descritto in termini di un altro, che diventa primario e dominante rispetto al primo.

Alcuni hanno sostenuto che Dedekind non avrebbe fatto altro che riprendere e riformulare la definizione di Eudosso in termini aritmetici. A me sembra che mentre i geometri greci, turbati dalla crisi del pitagorismo e dalle aporie di Zenone, mantenevano una netta distinzione tra aritmetica e geometria e quindi nemmeno avrebbero osato operare quella riduzione, quella operata da Dedekind, che ovviamente non sentiva più il peso della crisi del pensiero pitagorico, era completa, cosciente, esplicita. Non è forse un caso se proprio in quegli anni Frege tentava di ridurre tutta la matematica alla logica, in un lavoro intellettuale che si sarebbe arrestato di fronte alla nuova crisi del pensiero matematico e filosofico, che si doveva aprire in quel periodo pieno di disinvolte riduzioni. Osserviamo per inciso che le operazioni di riduzione sono uno dei bersagli critici di Feyerabend.

Non è forse un caso se proprio mentre Dedekind operava quella operazione di riduzione della geometria all'aritmetica, un altro matematico, Cantor, ispirato guarda caso da questioni interne all'analisi armonica, poneva una domanda che si può considerare la forma moderna dell'antica aporia tra continuo e discontinuo, una domanda che infiniti dubbi doveva addurre ai matematici negli anni successivi, e fino ai giorni nostri:
quanti punti ci sono esattamente in una retta?

La spinta propulsiva che questa domanda, apparentemente oziosa, ha dato alla Matematica è stata enorme. La moderna scienza dei calcolatori elettronici non esisterebbe senza il lavoro intellettuale svolto dai matematici sulla spinta di quella domanda e nel tentativo di dare ad essa una risposta esauriente (essendo insoddisfacente la prima risposta che viene in mente, come Cantor per primo ha fatto vedere).

Questo esempio mostra ottimamente quanto sia imprevedibile, a priori, il campo di applicabilità della ricerca in Matematica.

Ci sono ragioni per credere che le operazioni di riduzione di un modello a un altro non siano sempre la mossa migliore. Se è difficile rassegnarsi alla necessità di avere diversi modelli matematici della realtà, allora è naturale che si speri di poterli integrare in un unico modello onnicomprensivo, in nome dell'idea dell'unità della Scienza. Per quanto concerne la dicotomia tra continuo e discontinuo, una sintesi è stata realizzata, in un certo senso, soltanto nella seconda metà del XX secolo, da Grothendieck. Inizialmente accolto con scetticismo, il voluminoso armamentario concettuale introdotto da questo matematico ha costituito il linguaggio di base per la risoluzione di alcuni famosi problemi matematici, incluso l'Ultimo Teorema di Fermat.

Per tornare alla lezione filosofica che possiamo trarre dalle vicende della scuola pitagorica, osserviamo che oggigiorno, sebbene le idee innovative sono sempre accolte inizialmente con una certa resistenza, gli scienziati (i pensatori) più accorti non pretendono di appiattire la realtà sui modelli teorici che la Matematica (il linguaggio) ci permette di formulare. Essi sono sempre pronti ad allargare o modificare una teoria, se l'evidenza sperimentale indica che bisogna farlo.

Questa lezione filosofica, che qualsiasi scienziato moderno apprende come parte della sua educazione, non è stata appresa da tutti. Basta pensare alla teoria di E. Berne, chiamata "psicologia transazionale", fortunatamente oggi non più di moda, che pretendeva di appiattire i nostri comportamenti interpersonali a un semplicissimo gioco combinatorio.

A proposito di semplici giochi combinatori, è difficile non pensare alle teorie degli aziendalisti, che pretendono di appiattire tutte le nostre istituzioni, senza eccezione, sui loro schemi, e senza riguardo alcuno, bisogna dire, per gli scopi stessi di quelle istituzioni. Ad esempio, se proprio vogliamo vedere l'Università come una Azienda, allora dobbiamo chiederci se, rimodellata secondo questo schema mentale, l'Università consegue o no i suoi scopi istituzionali, che sono la ricerca scientifica, l'istruzione superiore, la trasmissione del sapere da una generazione all'altra, la formazione di un congruo numero di individui in grado di far funzionare e progredire una società dove la Tecnica è in larga misura basata sulla Scienza.

Questi sono soltanto due esempi tra i tanti che si potrebbero fare della ostinazione con cui può capitare di pretendere che il mondo si adegui magicamente ai nostri schemi mentali.

Concludo approfondendo due punti.

Il primo riguarda la funzione dell'Università come luogo di istruzione superiore in cui avviene la trasmissione del sapere da una generazione all'altra. La storia insegna che la perdita del patrimonio scientifico accumulato fino al III secolo avanti Cristo, che si può datare alla caduta di Siracusa in mano romana, è stata irreparabile: ci sono voluti secoli per recuperare, ricostruire, riscoprire quel patrimonio. Lucio Russo ha osservato che Plinio il Vecchio, il più grande pensatore di epoca romana, non era in grado di comprendere i trattati scritti dai matematici tre secoli prima, tanto grande era stata la decadenza della cultura scientifica che si era prodotta a partire dalla morte di Archimede, avvenuta proprio con la caduta di Siracusa.

Torniamo a un'altra idea cara alla scuola pitagorica: quella che la Tecnica non sia e non debba essere altro che applicazione della Scienza, ovvero dei modelli teorici che la Matematica (e il Linguaggio in senso lato) possono formulare intorno al Mondo.

Tuttavia, di fatto, non di rado la Tecnica muove i suoi passi dietro la spinta del caso, andando oltre i confini della Scienza, in tentativi suggeriti dall'intuito e non da consapevoli deduzioni operate entro i suoi confini e in applicazione dei suoi principi. In certa misura, uno scollamento temporaneo tra i due termini sembra fisiologico al movimento di progresso scientifico e tecnologico, ma è comunque auspicabile una certa cautela nell'abbracciare i prodotti tecnologici che non sono poggiati su un solido sostrato scientifico.

Ad esempio, l'aspirina è stata usata per decenni, e con soddisfazione dei malati, prima che fosse formulata una spiegazione della sua efficacia a livello della Biologia Molecolare.

In altri casi, siamo stati meno fortunati. Alcuni ritrovati della tecnologia sono stati impiegati con superficiale entusiasmo e senza una piena scienza dei loro effetti sulla salute umana, i quali si sono rivelati nefasti, come abbiamo scoperto nel corso di quelli che sono stati, evidentemente, esperimenti in corpore vili, alcuni dei quali sono ancora in corso, o sono appena iniziati.

Un esame a occhio nudo della storia umana mostra che senza un armonioso rapporto tra la Scienza e la Tecnica, il progresso delle società umane resta confinato. La civiltà romana antica, dove la Tecnica era fondamentalmente priva di un solido sostrato scientifico e filosofico, ne è un esempio.

Un armonioso rapporto tra i due termini, rivitalizzato dalla avanzatissima cultura araba, ha prodotto la rivoluzione scientifica del Seicento, e quindi la rivoluzione industriale.

Ad esempio, Nepero ha studiato i logaritmi perché spinto non solo da esigenze interne alla Matematica di quel tempo, ma anche dalla necessità che i navigatori avevano di completare velocemente i calcoli necessari alla navigazione e ai commerci.

Osserviamo per inciso e con amarezza che i calcoli resi possibili dalle teorie di Nepero sui logaritmi facilitarono non solo le navigazioni puramente commerciali, ma servirono anche a portare a compimento quello che forse è il più grande genocidio della storia umana, a danno del continente africano.

Questo è uno dei tanti esempi di un altro scollamento, di tipo politico: i prodotti tecnologici possono essere usati ben oltre i confini imposti dalla definizione che abbiamo dato di Tecnica, non per migliorare la nostra vita, ma per asservirci. Si entra qui nel campo della Politica, intesa come governo della Cosa Pubblica, e in quello che è il suo problema insoluto più importante: quello di ordinare la società in modo equo, in modo da impedire prevaricazioni strutturali, e in modo che la situazione di equilibrio così raggiunta sia compatibile con la spinta al cambiamento data dal progresso scientifico e tecnologico. Osserviamo per inciso un sinistro parallelismo: un tempo, i matematici della scuola di Pitagora hanno disperatamente tentato di nascondere la scoperta delle quantità incommensurabili; oggi, alcuni governi hanno tentato o tentano di nascondere e minimizzare quelle analisi, basate sulla evidenza a noi disponibile, che indicano che il surriscaldamento cui è attualmente sottoposto il nostro pianeta è dovuto alle emissioni atmosferiche prodotte dall'attività industriale. Similmente, alcune aziende non esitano a nascondere che i loro prodotti sono nocivi alla salute umana.

Diversi secoli dopo il processo a Galilei, è diventato vitale tutelare la libertà degli scienziati nell'esercizio del loro compito, che è quello di comprendere il mondo e dire la verità. Secondo alcuni, certi esercizi di aziendalizzazione delle istituzioni tradiscono non soltanto l'ingenuo errore filosofico che abbiamo sopra descritto, ma anche il tentativo di affermare un certo controllo sulla società contemporanea, svuotando di significato i meccanismi di controllo democratico che dovrebbero assicurare alle istituzioni la cura del bene comune.

Dunque, se il rapporto tra la Scienza e la Tecnica è armonioso, lo sviluppo di uno moltiplica quello dell'altro.

Uno scollamento troppo grande tra i due termini porta, a seconda del prevalere di questo o di quello, in un caso, al confluire della Matematica nella metafisica misticheggiante (senza applicazioni pratiche e, guarda caso, senza innovazioni teoriche); nell'altro caso, a un puro pragmatismo (libero da sovrastrutture teoriche ma proprio per questo incapace di avanzare oltre certi limiti).

Un esempio del primo estremo si verificò alla fine di quel processo di decadenza dello spirito scientifico (iniziato con la morte di Archimede per mano romana, e giunto a maturazione nel V secolo d.C.) che ha accompagnato, guarda caso, quella parabola autodistruttiva che è stata la formazione, l'espansione e infine la crisi catastrofica dell'impero romano.

Un esempio del secondo estremo si trova, come abbiamo osservato, alla radice stessa della civiltà romana antica, già nella sua prima fase di espansione repubblicana. La relativa superiorità dei romani nella tecnica militare e l'affidamento che essi ponevano nella forza lavoro degli schiavi, dovevano rendere ai loro occhi superflua ogni altra cura speculativa.

Un altro esempio del secondo estremo si trova nella matematica sviluppata dai babilonesi e dagli egiziani nei secoli che hanno preceduto la scoperta degli incommensurabili, avvenuta come abbiamo detto nel V secolo a.C. ad opera della scuola di Pitagora. I babilonesi e gli egiziani avevano raggiunto, nei calcoli matematici, un livello di tecnicismo relativamente sofisticato, eppure non fu loro la scoperta degli incommensurabili, mancando loro la necessaria dose di spirito speculativo e filosofico.

La società romana antica si distingueva per uno scollamento tra Scienza e Tecnica che, guarda caso, si rispecchiava, specie nella sua fase imperiale, in uno scollamento sociale che alla fine la rese ingovernabile. La sua classe dirigente non sapeva più amministrare la complessità della estensione stessa dell'impero.

Mi sembra opportuno citare le parole che Gianni Micheli dedica a questi aspetti, nella "Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico" di Ludovico Geymonat (primo volume, p.302):

Neanche i romani, malgrado il loro indiscusso spirito pratico, seppero sviluppare a fondo la preziosa eredità degli ingegneri alessandrini. Essi rivelarono senza dubbio grandi capacità nella costruzione di strade, di acquedotti, di fastosi edifici, ma non riuscirono a comprendere l'interesse della vera e propria ingegneria meccanica, né avvertirono l'importanza pratica di ricerche direttamente o indirettamente rivolte alla scoperta di nuove fonti di energia. Il fatto appare tanto più singolare, quando si pensi che proprio al I secolo a.C. risale la massima invensione tecnologica dell'antichità : il mulino idraulico (invenzione [...] sorta, come scrive U. Forti, nell'orbita della civiltà di Alessandria).
[...].
Per quanto riguarda lo scarso interesse dimostrato dai romani verso gli artificiosi congegni esposti negli Pneumatika' di Erone, va inoltre osservato che la via da percorrere, onde giungere ad una loro utilizzazione su vasta scala, non poteva non apparire troppo lunga e difficile a uomini --- come appunto gli ingegneri romani --- direttamente impegnati nelle realizzazioni pratiche immediate. L'abbandono di tale atteggiamento richiederà una profonda trasformazione sociale e culturale, che avrà inizio solo parecchi secoli più tardi.


Non sono il solo a pensare che lasciando che la Storia illumini il presente, sarà più facile evitare gli antichi errori del passato.

In questo spirito di ottimismo vorrei osservare che, paradossalmente, anche nella nostra società contemporanea, specialmente nei paesi più industrializzati, si manifesta un eccessivo scollamento tra Scienza e Tecnica, anche se, naturalmente, in forme nuove. Inoltre, mi sembra innegabile che sia in atto uno strepitoso scollamento politico, come lo abbiamo chiamato, nell'uso che viene fatto dei prodotti della tecnologia, che vengono usati non esclusivamente per migliorare la nostra vita, ma molto spesso per asservirla a scopi estranei. Infine, la società contemporanea mi sembra affetta da una crisi che, paradossalmente, mutatis mutandis, ricorda quella dell'impero romano nella sua tarda fase imperiale: ecco due tra i tanti aspetti in comune: in entrambi i casi, si osservano i limiti di una classe politica incapace di gestire razionalmente la complessità; in entrambi i casi, una fiducia eccessiva viene riposta nella forza militare.



Questo convegno sarà arricchito dalla partecipazione di un congruo numero di matematici stranieri e di giovani allievi italiani.

Tra i matematici stranieri che hanno dato la loro disponibilità di massima a intervenire segnaliamo, in particolare, Nageswari Shanmugalingam, una giovane ricercatrice che si occupa, tra le altre cose, dello studio degli spazi metrici di misura, che rappresentano un altro tentativo di inserire lo studio delle strutture continue e discontinue in un unico contesto concettuale.


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